@Cleopatra: sto pianificando col mio compagno Alberto un'immersione in quella zona, ma molto più a largo. Se c'è il tempo, ci ancoriamo li e cerco il cubo che ho visto tanti anni fa. Se lo trovo, gli faccio una foto e la posto in questo argomento. Quando vidi il cubo ero proprio con Alberto e ieri gli ho chiesto se si ricordava di questa cosa. Mi ha detto di si e che sa esattamente dove si trova.
Ecco cosa ho trovato per te da un articolo di un quotidiano sardo:
L'UNIONE SARDA - Cultura e istruzione : Archeologia, quando la storia riemerge dal fondo del mare
07.02.2008
Anfore,ancore e cannoni recuperati durante gli scavi subacquei in Sardegna
A volte riemergono dalla sabbia, dal fango, tra i ciuffi della posidonia oceanica. Facendosi scoprire dopo una vita trascorsa lontana da occhi indiscreti. Il collo di un’anfora, il legno di una nave, il ceppo di un’ancora. Una fetta di storia che rispunta in superficie per raccontarsi, per narrare gesta e imprese, la vita di uomini e naviganti, di popoli rivieraschi che hanno abitato l’Isola. Fenici, punici, romani. Non c’è più la draga a scavare in quei siti antichi, a rubare il mistero. Troppo audaci i suoi denti di metallo, troppo violenti nel liberare i reperti dal substrato. Accadeva spesso, allora, quando l’archeologia subacquea era disciplina degli albori. Accadde a Spargi, quando Gianni Roghi e Nino Lamboglia si tuffavano davanti alle scogliere dell’isolotto, nell’Arcipelago di La Maddalena, per scattare immagini da sogno e raccontare, con un clic, quella montagna di anfore di epoca romana finite sott’acqua con la nave che le trasportava. La storia si ripeté negli anni Quaranta davanti a Cagliari, quando un’altra benna, della draga “Nazario Sauro”, cominciò a scavare dentro il porto per aumentarne la profondità. Terrecotte e ceramiche tornarono in superficie. Insieme a protomi e maschere e anfore. Altri tempi. L’archeologia subacquea si è fatta moderna. E ben più sofisticate, meno cruente sono le tecniche di scavo. A raccontarle, sui due piani ricchi di storia nel Museo archeologico di Cagliari, è la mostra temporanea allestita dalla Soprintendenza per i Beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Un percorso che si snoda attraverso una combinazione di immagini, testi, filmati e reperti, capace di raccontare ciò che pochi fortunati, subacquei e archeologici, possono ve- A dere quando si indossa una maschera e l’uomo terrestre diventa essere acquatico. L’acqua è torbida, sotto il mare di Nora. La telecamera spia il lavoro dei sommozzatori infilati nel limo, tra le foglie della posidonia. Le mani scavano delicatamente ma decise, e acchiappano manici di terracotta e pance di anfore del settimo e ottavo secolo, laggiù a trenta metri di profondità non lontano dallo scoglio del Coltellazzo, davanti alla città che fu dei Fenici e poi dei Punici e ancora dei Romani. «Le indagini subacquee», spiega l’archeologo della Soprintendenza Ignazio Sanna, curatore della mostra insieme alla dottoressa Donatella Salvi, «sono state condotte in questi ultimi due anni ma di fatto rappresentano la continuità con gli studi avviati nel 1996». Ricerche che hanno permesso di individuare numerose aree di interesse sia pertinenti a relitti che a resti di strutture portuali ormai sommerse. E sempre nei fondali di Nora (alcune testimionianze sono esposte nella mostra) i sub hanno raccolto anfore puniche, pietre d’ormeggio e ancore, indispensabili strumenti di bordo per la sosta delle navi. Una mostra, insomma, da seguire con attenzione. Scoprire poco per volta, soffermandosi davanti ai bellissimi pannelli capaci di descrivere il lavoro dei ricercatori. I siti sommersi e l’attività di scavo. Ma anche gli ambienti subacquei con i loro abitanti: l’elegante flabellina che danza sui delicati rami di un briozoo o la bocca famelica di una grossa murena che spunta da un anfratto, fotografata dai sub a Cala Cipolla durante una delle tante, interminabili prospezioni. Tra le scogliere scoscese che sprofondano nel blu, dentro baie assolate e ridossate dai venti. ………
ECCO QUELLO CHE POTREBBE INTERESSARTI!!!!!!........... Accadde un giorno di imbattersi in massi squadrati, manufatti umani e non solo pietre. C’era un approdo, nella cala di Malfatano. Forse proprio quel porto Ercole che gli studiosi cercarono per anni e forse ancora cercano. «Ipotesi da confermare, di certo nella baia, attorno a quei blocchi, molte navi trovarono riparo. Qui abbiano trovato testimonianze di epoca imperiale, di epoca repubblicana, anfore greco- italiche e reperti ben più recenti », spiega Ignazio Sanna. Come fuori dal fiordo, dove il fondale, a trenta, trentacinque metri di profondità, custodisce un vero tappeto di ceppi in piombo, le parti di antiche ancore romane che hanno resistito ai secoli quando il legno è stato aggredito, divorato dalle terenidi. Anni e anni di indagini, sono raccolte in questa bella e importante mostra di archeologia subacquea. Forse la prima, in Sardegna, capace di raccontare l’Isola, i suoi fondali, le cosiddette emergenze archeologiche venute a galla in questi anni. Come quella meravigliosa campagna d’indagine degli anni Novanta capace di restituire reperti davvero preziosi. Anfore a siluro e anforette di epoca punica che i sommozzatori dell’Ot-sub e gli archeologi Paolo Bernardini ed Emanuela Solinas strapparono al limo infilandosi letteralmente nel fango che per duemila e passa anni aveva custodito un patrimonio immenso. «E un po’ ciò che è accaduto a Santa Giusta, dove in collaborazione con l’amministrazione comunale e l’Università abbiamo avviato un importante lavoro d’indagine», spiega Sanna. «Abbiamo individuato all’interno della laguna due zone di scavo e recuperato, in una delle aree sottoposta a indagine, bellissime anfore fenice e puniche. Ma anche, come è avvenuto anche a Marceddì, contesti di età neolitica ». Oltre alle anfore di tipo a siluro Santa Giusta sta regalando davvero un patrimonio inestimabile, capace di svelare altri misteri della storia antica. «Nelle anfore abbiano trovato molti materiali organici come resti di osa d’animali, ovini e bovini, che presentano tracce di macellazione». Carni conservate e molto probabilmente destinate al commercio. «Un fatto davvero interessante », dice Ignazio Sanna, «è la presenza di una grande quantità di semi d’uva, mandorle, olive, ciliegie, pinoli e altri non ancora identificati dagli esperti. Il loro stato di conservazione è così eccezionale che il botanico si tenterà anche di utilizzarli. Studi che la Soprintendenza sta svolgendo in stretta collaborazione con l’Università di Cagliari e in particolare con la docente di archeologia fenicio-punica Carla Delvais e il botanico Gianluigi Bacchetta. «Sempre a Santa Giusta - dice ancora Sanna - abbiamo individuato resti lignei, anche questi in ottimo stato di conservazione, in gran parte lavorati con incastri. Nel cantiere di scavo abbiamo adottato particolari accorgimenti come una sorta di ring metallico di 18 metri per 12 all’interno del quale hanno operato i sommozzatori. Tra l’altro, dopo la prima fase di scavo, una struttura simile ha permesso di ricoprire il cantiere e proteggere il sito». Non poteva mancare, in questa esposizione temporanea allestita alla Cittadella dei musei, una sezione riservata al porto di Cagliari e alle recentissime indagini subacquee guidate proprio dall’archeologo Ignazio Sanna. «Interventi finanziati dall’Autorità portuale», ricorda Sanna, «e che hanno regalato un valore aggiunto all’approdo cagliaritano». Il cantiere è stato aperto davanti al molo Sabaudo e la presenza dei manufatti ha costretto i progettisti a rivedere il piano di prolungamento della banchina. Ma dal sito stanno emergendo e sono emersi materiali (anfore e vasellame vario) che indica la presenza di un relitto tardo repubblicano del primo secolo avanti Cristo. Una montagna di anfore, alcune rare e comunque mai rinvenute nei siti sommersi in Sardegna, come le anfore panciute di fabbricazione pugliese, custodite nella nave oneraria insieme ad altre vinarie o olearie (provenienti da fabbriche brindisine). «L’ipotesi accreditata è che la nave, proveniente dalle coste adriatiche, durante il suo viaggio verso la Spagna abbia caricato a bordo altre anfore cariche di prodotti. Una di queste era di produzione sarda», precisa l’archeologo della Soprintendenza. Nella mostra archeologica anche riferimenti alle scoperte subacquee di Arbus e Pistis (con i cannoni di un relitto forse seicentesco) e del relitto di Mal di Ventre col suo carico di mille lingotti in piombo. E ancora dei materiali di Gonnesa e di Cala Piombo.
ANDREA PIRAS
