ARCHEONEWS: In apnea da 3000 anni
Inviato: 15 mar 2012, 16:27
... incoraggiata dai vostri messaggi....
I primi riferimenti ad uomini capaci di immergersi le troviamo già nell’Iliade e nell’Odissea le due opere attribuite dalla tradizione ad Omero che narrano fatti avvenuti nel XIII secolo a.C. In tempi di poco più recenti erano molto famosi i pescatori di spugne e di perle di Delo, mentre Aristotele (vissuto nel IV sec a.C.) tratta dei pericoli derivanti dalle immersioni legati all’aria trattenuta troppo a lungo nei polmoni e dei pericoli per le orecchie da cui poteva fuoriuscire sangue per la troppa pressione. Sempre Aristotele ci tramanda l’uso di cannelli che, se tenuti con una estremità fuori dell’acqua, permettevano di respirare, forse ispirandosi alle proboscidi degli elefanti.
Pausania e Plinio ci raccontano invece un avvenimento di grande risonanza, databile al 480 a.C., compiuto da un sommozzatore chiamato Scillia di Scione, che nuotando sott’acqua avrebbe tagliato le cime delle ancore delle navi persiane lasciandole in balia della tempesta durante la battaglia di Monte Pelio contro i Greci. E questa sembra essere la più antica attestazione di lavoro subacqueo.
Altri sommozzatori vennero utilizzati anche nella guerra tra Siracusa ed Atene (nel 414 a.C.) su incarico di quest’ultima per rimuovere e segare una serie di pali conficcati nel fondale dai siracusani per proteggere i loro arsenali.
Più tardi nel II secolo a.C. durante la II guerra macedonica il re Perseo atterrito dall’avanzata romana fece gettare in mare tutti i tesori della città di Pella poi, passato il pericolo, il materiale venne recuperato, secondo il racconto di Tito Livio, da sommozzatori. Esistono anche alcuni aneddoti in cui sono coinvolti sommozzatori: Antonio (il generale romano sconfitto poi da Ottaviano, nonché sciupafemmine) stava pescando con la canna in compagnia di Cleopatra e, seccato dal fatto di non prendere niente, incaricò dei sommozzatori di attaccargli i pesci alla lenza. Cleopatra (innamorata ma non scema) si accorse dell’inganno, si congratulò per l’eccezionale pescata ed invitò molte persone per il giorno dopo ad assistere alla pesca di Antonio. Il giorno successivo lei stessa inviò altri subacquei che attaccarono questa volta alla lenza di Antonio un pesce affumicato con gran divertimento di tutti i presenti (meno che di Antonio probabilmente).
Un forte stimolo all’attività subacquea derivava anche nell’antichità dal principio, ancora vigente, che chi ritrovava un oggetto in mare ne era automaticamente il proprietario, e non si esclude che esistesse anche l’abitudine di far naufragare navi cariche per entrare in possesso del carico.
Fino a qui le notizie giunteci dalle fonti scritte, ma tutte confermate anche da ritrovamenti archeologici.
Un bassorilievo assiro (880 a.C.) raffigura alcuni nuotatori che attraversano un fiume per attaccare una città nemica, respirando da otri pieni d’aria attraverso una cannuccia mentre il recupero di una statua dal mare è stato addirittura immortalato in un rilievo marmoreo del I secolo a.C. rinvenuto ad Ostia, dove si vede una statua di Ercole imbracata in una rete e trascinata a terra da pescatori.
Oltre questo documento esistono anche epigrafi (iscrizioni su lastre di marmo) che ricordano gli urinatores, ossia corporazioni di nuotatori subacquei specializzati. Il nome stesso urinator era stato preso in prestito da un uccello (il nome si riferisce ancora oggi ad una sottospecie di pellicano) che per sua natura si immerge a testa in giù per pescare e che ricorda le nostre capovolte. Una iscrizione in particolare ricorda la corporazione che operava nell’alveo del fiume Tevere per rimuovere ostacoli dovuti alle frequenti piene o al recupero di materiali caduti in acqua durante le operazioni di trasbordo. Sappiamo inoltre da Plinio (Naturalis Historia) che esisteva l’uso di riempirsi la bocca di olio per sputarlo sott’acqua e migliorare la visibilità (più probabilmente mettevano olio sulla superficie dell’acqua creando così un effetto lente permetteva di vedere meglio il fondale).
A differenza di oggi la professione di sommozzatore era ben remunerata, se dobbiamo prestar fede a una norma contenuta nella lex Rhodia, che quantificava il premio spettante agli urinatores nel caso di recuperi di carichi gettati in mare o perduti: pare infatti che questi antichi sommozzatori avessero diritto ad un compenso corrispondente a un terzo del valore dei beni recuperati nel caso di operazioni effettuate a una profondità inferiore ai 15 metri, e addirittura alla metà in caso di operazioni svolte a profondità comprese tra 15 e 27 metri.
Una prova dell’attività di questi subacquei è stata riconosciuta nel relitto della Madrague de Giens in Francia dove parte del carico venne asportato in antico e al suo posto sono state ritrovate dagli archeologi molte pietre. Si pensa infatti che gli urinatores scendessero in acqua con una pietra in mano come zavorra e l’abbandonassero sul fondale prima di risalire in superficie portando al suo posto un’anfora piena.
I primi riferimenti ad uomini capaci di immergersi le troviamo già nell’Iliade e nell’Odissea le due opere attribuite dalla tradizione ad Omero che narrano fatti avvenuti nel XIII secolo a.C. In tempi di poco più recenti erano molto famosi i pescatori di spugne e di perle di Delo, mentre Aristotele (vissuto nel IV sec a.C.) tratta dei pericoli derivanti dalle immersioni legati all’aria trattenuta troppo a lungo nei polmoni e dei pericoli per le orecchie da cui poteva fuoriuscire sangue per la troppa pressione. Sempre Aristotele ci tramanda l’uso di cannelli che, se tenuti con una estremità fuori dell’acqua, permettevano di respirare, forse ispirandosi alle proboscidi degli elefanti.
Pausania e Plinio ci raccontano invece un avvenimento di grande risonanza, databile al 480 a.C., compiuto da un sommozzatore chiamato Scillia di Scione, che nuotando sott’acqua avrebbe tagliato le cime delle ancore delle navi persiane lasciandole in balia della tempesta durante la battaglia di Monte Pelio contro i Greci. E questa sembra essere la più antica attestazione di lavoro subacqueo.
Altri sommozzatori vennero utilizzati anche nella guerra tra Siracusa ed Atene (nel 414 a.C.) su incarico di quest’ultima per rimuovere e segare una serie di pali conficcati nel fondale dai siracusani per proteggere i loro arsenali.
Più tardi nel II secolo a.C. durante la II guerra macedonica il re Perseo atterrito dall’avanzata romana fece gettare in mare tutti i tesori della città di Pella poi, passato il pericolo, il materiale venne recuperato, secondo il racconto di Tito Livio, da sommozzatori. Esistono anche alcuni aneddoti in cui sono coinvolti sommozzatori: Antonio (il generale romano sconfitto poi da Ottaviano, nonché sciupafemmine) stava pescando con la canna in compagnia di Cleopatra e, seccato dal fatto di non prendere niente, incaricò dei sommozzatori di attaccargli i pesci alla lenza. Cleopatra (innamorata ma non scema) si accorse dell’inganno, si congratulò per l’eccezionale pescata ed invitò molte persone per il giorno dopo ad assistere alla pesca di Antonio. Il giorno successivo lei stessa inviò altri subacquei che attaccarono questa volta alla lenza di Antonio un pesce affumicato con gran divertimento di tutti i presenti (meno che di Antonio probabilmente).
Un forte stimolo all’attività subacquea derivava anche nell’antichità dal principio, ancora vigente, che chi ritrovava un oggetto in mare ne era automaticamente il proprietario, e non si esclude che esistesse anche l’abitudine di far naufragare navi cariche per entrare in possesso del carico.
Fino a qui le notizie giunteci dalle fonti scritte, ma tutte confermate anche da ritrovamenti archeologici.

Un bassorilievo assiro (880 a.C.) raffigura alcuni nuotatori che attraversano un fiume per attaccare una città nemica, respirando da otri pieni d’aria attraverso una cannuccia mentre il recupero di una statua dal mare è stato addirittura immortalato in un rilievo marmoreo del I secolo a.C. rinvenuto ad Ostia, dove si vede una statua di Ercole imbracata in una rete e trascinata a terra da pescatori.
Oltre questo documento esistono anche epigrafi (iscrizioni su lastre di marmo) che ricordano gli urinatores, ossia corporazioni di nuotatori subacquei specializzati. Il nome stesso urinator era stato preso in prestito da un uccello (il nome si riferisce ancora oggi ad una sottospecie di pellicano) che per sua natura si immerge a testa in giù per pescare e che ricorda le nostre capovolte. Una iscrizione in particolare ricorda la corporazione che operava nell’alveo del fiume Tevere per rimuovere ostacoli dovuti alle frequenti piene o al recupero di materiali caduti in acqua durante le operazioni di trasbordo. Sappiamo inoltre da Plinio (Naturalis Historia) che esisteva l’uso di riempirsi la bocca di olio per sputarlo sott’acqua e migliorare la visibilità (più probabilmente mettevano olio sulla superficie dell’acqua creando così un effetto lente permetteva di vedere meglio il fondale).
A differenza di oggi la professione di sommozzatore era ben remunerata, se dobbiamo prestar fede a una norma contenuta nella lex Rhodia, che quantificava il premio spettante agli urinatores nel caso di recuperi di carichi gettati in mare o perduti: pare infatti che questi antichi sommozzatori avessero diritto ad un compenso corrispondente a un terzo del valore dei beni recuperati nel caso di operazioni effettuate a una profondità inferiore ai 15 metri, e addirittura alla metà in caso di operazioni svolte a profondità comprese tra 15 e 27 metri.
Una prova dell’attività di questi subacquei è stata riconosciuta nel relitto della Madrague de Giens in Francia dove parte del carico venne asportato in antico e al suo posto sono state ritrovate dagli archeologi molte pietre. Si pensa infatti che gli urinatores scendessero in acqua con una pietra in mano come zavorra e l’abbandonassero sul fondale prima di risalire in superficie portando al suo posto un’anfora piena.