Personaggi legati al mare
Inviato: 09 gen 2013, 22:46
LO ZIO MARIO
Mentre mi avvicinavo lentamente al gozzetto, Mario mi faceva dei gran segni facendomi capire che qualche calamaro lo aveva preso.
Accostai da sottovento, come voleva lui, e quando gli fui affiancato Mario porse il secchio al mio compagno di pesca.
Nel secchio c’erano tre calamari, dei quali due belli vivi e guizzanti ed uno agonizzante, li mettemmo nella vasca apposita già riempita d’acqua e avviai la pompa per farla circolare e rinnovarla in continuazione.
Quale fosse la taglia la tariffa era di cinque euro a calamaro, mi riavvicinai nuovamente con venti euro messi dentro il lungo guadino, zio Mario li prese e voleva restituirmelo con il resto di cinque euro; gli dissi che ci saremmo rifatti la prossima volta, lui mi salutò con la mano e mi sorrise.
Ricominciò a manovrare le sue lenze e mentre mi allontanavo vidi che ne stava salpando un altro e lo metteva nel secchio.
Il vecchio gozzo in legno motorizzato con un monocildrico entrobordo era ormeggiato tra i pescherecci locali, era messo li in mezzo sicuramente per non pagare il posto barca, il comandante del porto e gli ormeggiatori fingevano di non vederlo, mentre le barche vicine si erano leggermente allargate per fargli spazio.
Immancabilmente alle quattro del mattino, zio Mario usciva dal porto e andava a pescare vicino alla boa del fanale verde ancorata ad un mezzo miglio dalla costa.
Calava le sue lenze armate di vecchi artificiali in piombo rivestiti in filo di seta avvolto, che lui stesso aveva costruito e che ogni tanto rinnovava.
Non l’ho mai visto pescare con una totanara comprata in negozio, qualcuno aveva provato ad offrirgliele, ma lui le aveva sempre rifiutate, diceva che non si fidava di quelle cose in plastica e continuava imperterrito a calare i suoi piombi variamente colorati.
Non aveva neppure mai voluto mettere i suoi calamari in una nassa rigida, come anch’io gli avevo consigliato e mi ero offerto di comprargliela, troppo complicata, mi disse, il secchio va meglio.
In realtà nel secchio i calamari soffrivano e dopo poco morivano, ma niente e nessuno poteva fargli cambiare idea.
Sapevo da conoscenti che era rimasto solo, aveva negli anni perduto la moglie il figlio e anche la nuora se ne era andata molto giovane, gli era rimasta solo una nipote che fortunatamente si prendeva cura di lui e lo assecondava in quella che era la sua grande ed unica passione: la pesca al calamaro.
I trainisti con il vivo, uscendo dal porto per andare a fare l’esca, facevano prima visita allo zio Mario acquistando da lui quelli che aveva catturato e se non fossero stati sufficienti li avrebbero integrati con quelli che avrebbero preso loro stessi provando davanti al faro di Capo Testa o davanti la spiaggia della Mormorata.
Zio Mario pescava con tre lenze calate sul fondo e appoggiate sul bordo della barca, le muoveva continuamente e con una rara sensibilità, frutto delle tante ore trascorse a praticare questa pesca, sentiva quando la sua preda si stava avvicinando e con un colpo secco li faceva infilzare dalla spugnetta di aghi posta alla base dei suoi piombi-esca.
Le sue mani scure, screpolate dal salmastro e dal sole, sollevavano dolcemente la sua cattura dal fondo fino alla superficie, per poi depositarla nel suo secchio pieno di acqua e liberarla dagli acuminati spilli.
La sua testa imbiancata dal tempo, ritmava con un leggero movimento avanti ed indietro il salpaggio e un sorrisetto nasceva sul suo volto avvizzito quando la preda era al sicuro.
Alcune volte mi sono fermato a breve distanza da lui per cercare di strappargli qualche segreto, ma la sua azione era così limpida e pura, quasi naturale, facile come bere un bicchiere d’acqua, non c’era alcun segreto ne alcuna malizia, così, quando ne aveva due o tre nel secchio mi avvicinavo per acquistarli.
Non aveva clienti preferiti, per cui chi prima arrivava prima veniva servito.
Faceva eccezione solo un principe del foro locale, che, probabilmente, come si mormorava in porto, aveva fatto dei grossi piaceri alla sua nipote e zio Mario cercava di ricambiare come poteva.
Quando usciva lui tutti i calamari che aveva catturato fino ad allora avevano già il destinatario e solo successivamente li avrebbe venduti ai pescatori.
L’età di zio Mario era indefinibile comunque molto vicina agli ottanta e forse più, e anche il gozzetto in legno doveva avere più o meno la medesima età.
Verso le undici rientrava in porto, ormeggiava la sua barca manovrando con destrezza e sicurezza, scendeva a terra portando con se un sacchetto in nylon contenente l’attrezzatura e in un altro gli eventuali calamari rimasti invenduti e si avviava a piedi verso la sua vicina casa, caracollando un po’ sulle gambe con passo incerto, per le tante ore trascorse seduto nella panchetta della barca, poi, voltando in una stradina laterale, spariva alla vista.
Non so bene cosa fosse successo, ma lo scorso anno zio Mario non era la mattina al suo solito posto, il suo gozzo era sempre al suo ormeggio e affacciandomi dalla banchina vedevo nel pozzetto uno strato di acqua che non avrebbe dovuto esserci, segno di trascuratezza ed abbandono.
Non ho mai avuto il coraggio di chiedere a nessuno il perché della sua assenza e dello stato di abbandono della barca, avendo paura della risposta.
Nella mia immaginazione, quando esco dal porto, vedo ancora la sua minuscola barca ondeggiare sulla brezza del maestrale, quasi a far parte dello stupendo paesaggio che ha per sfondo oltre al mare ed alla costa, il meraviglioso dono della vita.
Mentre mi avvicinavo lentamente al gozzetto, Mario mi faceva dei gran segni facendomi capire che qualche calamaro lo aveva preso.
Accostai da sottovento, come voleva lui, e quando gli fui affiancato Mario porse il secchio al mio compagno di pesca.
Nel secchio c’erano tre calamari, dei quali due belli vivi e guizzanti ed uno agonizzante, li mettemmo nella vasca apposita già riempita d’acqua e avviai la pompa per farla circolare e rinnovarla in continuazione.
Quale fosse la taglia la tariffa era di cinque euro a calamaro, mi riavvicinai nuovamente con venti euro messi dentro il lungo guadino, zio Mario li prese e voleva restituirmelo con il resto di cinque euro; gli dissi che ci saremmo rifatti la prossima volta, lui mi salutò con la mano e mi sorrise.
Ricominciò a manovrare le sue lenze e mentre mi allontanavo vidi che ne stava salpando un altro e lo metteva nel secchio.
Il vecchio gozzo in legno motorizzato con un monocildrico entrobordo era ormeggiato tra i pescherecci locali, era messo li in mezzo sicuramente per non pagare il posto barca, il comandante del porto e gli ormeggiatori fingevano di non vederlo, mentre le barche vicine si erano leggermente allargate per fargli spazio.
Immancabilmente alle quattro del mattino, zio Mario usciva dal porto e andava a pescare vicino alla boa del fanale verde ancorata ad un mezzo miglio dalla costa.
Calava le sue lenze armate di vecchi artificiali in piombo rivestiti in filo di seta avvolto, che lui stesso aveva costruito e che ogni tanto rinnovava.
Non l’ho mai visto pescare con una totanara comprata in negozio, qualcuno aveva provato ad offrirgliele, ma lui le aveva sempre rifiutate, diceva che non si fidava di quelle cose in plastica e continuava imperterrito a calare i suoi piombi variamente colorati.
Non aveva neppure mai voluto mettere i suoi calamari in una nassa rigida, come anch’io gli avevo consigliato e mi ero offerto di comprargliela, troppo complicata, mi disse, il secchio va meglio.
In realtà nel secchio i calamari soffrivano e dopo poco morivano, ma niente e nessuno poteva fargli cambiare idea.
Sapevo da conoscenti che era rimasto solo, aveva negli anni perduto la moglie il figlio e anche la nuora se ne era andata molto giovane, gli era rimasta solo una nipote che fortunatamente si prendeva cura di lui e lo assecondava in quella che era la sua grande ed unica passione: la pesca al calamaro.
I trainisti con il vivo, uscendo dal porto per andare a fare l’esca, facevano prima visita allo zio Mario acquistando da lui quelli che aveva catturato e se non fossero stati sufficienti li avrebbero integrati con quelli che avrebbero preso loro stessi provando davanti al faro di Capo Testa o davanti la spiaggia della Mormorata.
Zio Mario pescava con tre lenze calate sul fondo e appoggiate sul bordo della barca, le muoveva continuamente e con una rara sensibilità, frutto delle tante ore trascorse a praticare questa pesca, sentiva quando la sua preda si stava avvicinando e con un colpo secco li faceva infilzare dalla spugnetta di aghi posta alla base dei suoi piombi-esca.
Le sue mani scure, screpolate dal salmastro e dal sole, sollevavano dolcemente la sua cattura dal fondo fino alla superficie, per poi depositarla nel suo secchio pieno di acqua e liberarla dagli acuminati spilli.
La sua testa imbiancata dal tempo, ritmava con un leggero movimento avanti ed indietro il salpaggio e un sorrisetto nasceva sul suo volto avvizzito quando la preda era al sicuro.
Alcune volte mi sono fermato a breve distanza da lui per cercare di strappargli qualche segreto, ma la sua azione era così limpida e pura, quasi naturale, facile come bere un bicchiere d’acqua, non c’era alcun segreto ne alcuna malizia, così, quando ne aveva due o tre nel secchio mi avvicinavo per acquistarli.
Non aveva clienti preferiti, per cui chi prima arrivava prima veniva servito.
Faceva eccezione solo un principe del foro locale, che, probabilmente, come si mormorava in porto, aveva fatto dei grossi piaceri alla sua nipote e zio Mario cercava di ricambiare come poteva.
Quando usciva lui tutti i calamari che aveva catturato fino ad allora avevano già il destinatario e solo successivamente li avrebbe venduti ai pescatori.
L’età di zio Mario era indefinibile comunque molto vicina agli ottanta e forse più, e anche il gozzetto in legno doveva avere più o meno la medesima età.
Verso le undici rientrava in porto, ormeggiava la sua barca manovrando con destrezza e sicurezza, scendeva a terra portando con se un sacchetto in nylon contenente l’attrezzatura e in un altro gli eventuali calamari rimasti invenduti e si avviava a piedi verso la sua vicina casa, caracollando un po’ sulle gambe con passo incerto, per le tante ore trascorse seduto nella panchetta della barca, poi, voltando in una stradina laterale, spariva alla vista.
Non so bene cosa fosse successo, ma lo scorso anno zio Mario non era la mattina al suo solito posto, il suo gozzo era sempre al suo ormeggio e affacciandomi dalla banchina vedevo nel pozzetto uno strato di acqua che non avrebbe dovuto esserci, segno di trascuratezza ed abbandono.
Non ho mai avuto il coraggio di chiedere a nessuno il perché della sua assenza e dello stato di abbandono della barca, avendo paura della risposta.
Nella mia immaginazione, quando esco dal porto, vedo ancora la sua minuscola barca ondeggiare sulla brezza del maestrale, quasi a far parte dello stupendo paesaggio che ha per sfondo oltre al mare ed alla costa, il meraviglioso dono della vita.