STORIA DI UN NAUFRAGIO
Inviato: 25 mar 2012, 20:17
STORIA DI UN NAUFRAGIO
La storia del relitto di Gela è unica in tutto il panorama dell’archeologia subacquea italiana e per alcuni versi anche in quello internazionale. È una storia unica sia in senso positivo che purtroppo in senso negativo.
Gela è una cittadina siciliana e racchiude tutto il litorale della provincia di Caltanissetta; fino ai primi anni ’60 era una rinomata località balneare con lunghissime spiagge che ricordano la riviera adriatica.
Poi la scelta di questo lungomare per la costruzione di uno dei più grandi impianti petrolchimici europei ha stravolto completamente la vita di questa città, trasformandola da una comunità agricola ad un polo industriale. Il forte inquinamento insieme ad un boom di edilizia abusiva hanno modificato non solo l’ambiente ma anche le locali tradizioni agricole e le predisposizione turistica di questa costa. Ma dietro a questa Gela maltrattata da malavita e sfruttamento, se non ci si sofferma al primo colpo d’occhio e non la si osserva con superficialità e snobbismo, è possibile osservarne un’altra dalle nobili e antiche origini che ancora sopravvivono tra case non intonacate, strade sterrate e quel forte odore della raffineria. Gela proprio quest’anno festeggia 2700 anni dalla sua fondazione, da quando cioè alcuni naviganti provenienti da Rodi e Creta scelsero questo luogo per fondare una nuova città, attratti da una fertile pianura, da un fiume e da una collinetta che si affacciava sul mare perfetta per ospitare e difendere i templi delle loro divinità che presto vi sarebbero stati costruiti.
Velocemente divenne una delle città più importanti della Sicilia, fondò Agrigento, conquistò Siracusa e il suo emporio marittimo, ossia un porto per scambi commerciali, divenne un caposaldo nella fitta rete di rotte mercantili tra la Grecia e le coste della Magna Grecia. L’emporio di Gela con le sue botteghe e magazzini affacciati sul mare e recentemente scoperto dagli archeologi sotto metri e metri di sabbia, costituisce un unicum per il suo stato di conservazione considerando che le pareti degli ambienti sono realizzati con mattoni crudi (impasto di argilla e paglia). Ma con i mattoni crudi i Geloi costruirono anche tutta la cinta muraria che ancora si conserva per lunghi tratti e visitabile sulla collina di Capo Soprano. Bene, un giorno di 2500 anni fa una nave dedita al commercio costiero tra le città della Magna Grecia venne sorpresa da una forte sciroccata, non riuscendo a raggiungere il porto di Gela, seppure ormai molto vicino, calarono le ancore in mare mettendo la prua al vento e probabilmente pregando sull’altare di bordo di salvare se stessi e la loro nave; ma le gallocce cedevano e in un ultimo tentativo di non far spiaggiare la nave legano le cime dell’ancora al dritto di prua, l’elemento più resistente a loro disposizione. Ma il mare e il vento non si calmano e anche il dritto di prua cede sotto la tensione delle cime, si strappa dal fasciame portandosi dietro anche parte della chiglia … la nave affonda velocemente e dolcemente si adagia su un basso fondale a soli 500 metri dalla riva. Nella sventura questo forse però permise ai marinari e all’armatore di mettersi in salvo mentre la sabbia del fondale accoglieva il relitto e rapidamente grazie alle onde e alla corrente lo ricopriva di uno morbido manto, lasciando in vista solo quel cumulo di pietre che era stato caricato come zavorra per stabilizzare la nave ….
La storia del relitto di Gela è unica in tutto il panorama dell’archeologia subacquea italiana e per alcuni versi anche in quello internazionale. È una storia unica sia in senso positivo che purtroppo in senso negativo.
Gela è una cittadina siciliana e racchiude tutto il litorale della provincia di Caltanissetta; fino ai primi anni ’60 era una rinomata località balneare con lunghissime spiagge che ricordano la riviera adriatica.
Poi la scelta di questo lungomare per la costruzione di uno dei più grandi impianti petrolchimici europei ha stravolto completamente la vita di questa città, trasformandola da una comunità agricola ad un polo industriale. Il forte inquinamento insieme ad un boom di edilizia abusiva hanno modificato non solo l’ambiente ma anche le locali tradizioni agricole e le predisposizione turistica di questa costa. Ma dietro a questa Gela maltrattata da malavita e sfruttamento, se non ci si sofferma al primo colpo d’occhio e non la si osserva con superficialità e snobbismo, è possibile osservarne un’altra dalle nobili e antiche origini che ancora sopravvivono tra case non intonacate, strade sterrate e quel forte odore della raffineria. Gela proprio quest’anno festeggia 2700 anni dalla sua fondazione, da quando cioè alcuni naviganti provenienti da Rodi e Creta scelsero questo luogo per fondare una nuova città, attratti da una fertile pianura, da un fiume e da una collinetta che si affacciava sul mare perfetta per ospitare e difendere i templi delle loro divinità che presto vi sarebbero stati costruiti.
Velocemente divenne una delle città più importanti della Sicilia, fondò Agrigento, conquistò Siracusa e il suo emporio marittimo, ossia un porto per scambi commerciali, divenne un caposaldo nella fitta rete di rotte mercantili tra la Grecia e le coste della Magna Grecia. L’emporio di Gela con le sue botteghe e magazzini affacciati sul mare e recentemente scoperto dagli archeologi sotto metri e metri di sabbia, costituisce un unicum per il suo stato di conservazione considerando che le pareti degli ambienti sono realizzati con mattoni crudi (impasto di argilla e paglia). Ma con i mattoni crudi i Geloi costruirono anche tutta la cinta muraria che ancora si conserva per lunghi tratti e visitabile sulla collina di Capo Soprano. Bene, un giorno di 2500 anni fa una nave dedita al commercio costiero tra le città della Magna Grecia venne sorpresa da una forte sciroccata, non riuscendo a raggiungere il porto di Gela, seppure ormai molto vicino, calarono le ancore in mare mettendo la prua al vento e probabilmente pregando sull’altare di bordo di salvare se stessi e la loro nave; ma le gallocce cedevano e in un ultimo tentativo di non far spiaggiare la nave legano le cime dell’ancora al dritto di prua, l’elemento più resistente a loro disposizione. Ma il mare e il vento non si calmano e anche il dritto di prua cede sotto la tensione delle cime, si strappa dal fasciame portandosi dietro anche parte della chiglia … la nave affonda velocemente e dolcemente si adagia su un basso fondale a soli 500 metri dalla riva. Nella sventura questo forse però permise ai marinari e all’armatore di mettersi in salvo mentre la sabbia del fondale accoglieva il relitto e rapidamente grazie alle onde e alla corrente lo ricopriva di uno morbido manto, lasciando in vista solo quel cumulo di pietre che era stato caricato come zavorra per stabilizzare la nave ….