ARCHEONEWS: architettura navale antica in pillole
Inviato: 20 mar 2012, 09:49
dopo essere stata a lungo deviata magneticamente... riprendo il mio posto!
Le fonti iconografiche (ossia i disegni) o letterarie non ci vengono in aiuto per quanto riguarda i metodi di costruzione navale; è invece proprio l’archeologia sottomarina che, attraverso lo studio dei relitti ci ha fornito una grande quantità di informazioni.
Per la costruzione di imbarcazioni vennero utilizzati due metodi: l’assemblaggio degli elementi per mezzo di cime e spinotti di legno (navi cucite) , oppure a mortase e tenoni (linguette in legno incavigliate in incavi).
Sulle navi cucite tra le poche fonti letterarie disponibili per le epoche più antiche sicuramente di grande interesse è l’Iliade che pur trattando di un guerra terrestre ha sullo sfondo della narrazione il mare; i greci infatti raggiunsero Troia via mare con numerosissime navi, come ci racconta Omero nel II libro e ci da un dettaglio molto importante sulla tecnica di costruzione, dicendo che i legni delle navi sono ormai marciti e le corde disciolte, che alla luce delle conoscenze archeologiche possiamo interpretare come navi c.d. cucite di cui parleremo a lungo a proposito della nave di Gela.
La più antica testimonianza archeologica in merito è la barca funeraria di Cheope, risalente al III millennio a.C. che mostra la convivenza delle due tecniche: è priva di chiglia, presenta un’ossatura di rinforzo interna, mentre gli assemblaggi delle tavole sono realizzati sia per mezzo di corde passanti che con il sistema delle linguette.
Del secondo tipo di tecnica per la connessione del fasciame quello c.d. a tenoni e mortase, ce ne parla ancora Omero nell’Odissea descrivendo la zattera che si costruisce Ulisse per lasciare l’isola di Calipso (libro V 228-277); questa sarà la tecnica maggiormente diffusa nel mondo romano.
Non sono ancora state chiarite con certezza le motivazioni che determinavano la scelta di una delle due tecniche di costruzione. Sappiamo infatti che la tecnica a tenoni e mortase era già nota a partire dal XV secolo a.C., grazie al ritrovamento del relitto di Ulu Burun in Turchia. Non conosciamo la nazionalità dell’imbarcazione seppure sicuramente apparteneva alla sfera del Mediterraneo orientale, la stessa tecnica a tenoni e mortase è stata individuata anche nello scafo di un relitto fenicio punico a Mazzarron in Spagna databile al VII secolo. Si sta quindi valutando l’ipotesi che questa caratteristica tecnica fosse tipica dei popoli orientali, mentre l’assemblaggio tramite cuciture abbia le sue origini nel mondo greco, seppure già nel V secolo troviamo la commistione delle due tecniche.
A prescindere dall’assemblaggio, le tecniche per la costruzione dello scafo erano:
- tecnica su fasciame o a guscio (es. Albenga): con questo sistema la forma della carena è determinata dai corsi di fasciame che man mano vengono montati; si comincia con la posa in opera degli elementi portanti principali, chiglia, dritto di prora, ruota di poppa, cui vengono unite le tavole del fasciame tramite linguette (tenoni) di legno immessi entro cavità scavate nello spessore delle tavole (mortase) e fissati da spinotti (caviglie) e spesso rinforzati da chiodi di ferro o rame. La posa in opera dei primi elementi dello scheletro (madieri e ordinate) avviene dopo il collegamento dei primi corsi del fasciame. Questo sistema era già usato per i battelli cuciti di età arcaica e restò in uso per tutta l’antichità.
- tecnica su costole o a scheletro verso la fine dell’antichità e l’inizio dell’alto Medio Evo si assiste all’affermazione di questo sistema che è ancora in uso oggi; consiste nel montare l’ossatura della nave sulla chiglia precedentemente preparata e nel rivestire poi lo scheletro con i corsi di fasciame. Qui è l’ossatura a determinare la forma dell’imbarcazione ed il fasciame ha solo una funzione di rivestimento. Nel corso del tempo, forse per motivi di economia del lavoro, l’evoluzione va verso la soppressione delle linguette (o comunque non sono incavigliate) nel fasciame, con il conseguente indebolimento di quest’ultimo e lo sviluppo dell’ossatura come elemento portante.
Questa schematizzazione non corrisponde sempre alla realtà archeologica, nel senso che attraverso lo studio dei relitti è stato possibile riscontrare talvolta l’uso combinato delle due tecniche (mista).
Le fonti iconografiche (ossia i disegni) o letterarie non ci vengono in aiuto per quanto riguarda i metodi di costruzione navale; è invece proprio l’archeologia sottomarina che, attraverso lo studio dei relitti ci ha fornito una grande quantità di informazioni.
Per la costruzione di imbarcazioni vennero utilizzati due metodi: l’assemblaggio degli elementi per mezzo di cime e spinotti di legno (navi cucite) , oppure a mortase e tenoni (linguette in legno incavigliate in incavi).
Sulle navi cucite tra le poche fonti letterarie disponibili per le epoche più antiche sicuramente di grande interesse è l’Iliade che pur trattando di un guerra terrestre ha sullo sfondo della narrazione il mare; i greci infatti raggiunsero Troia via mare con numerosissime navi, come ci racconta Omero nel II libro e ci da un dettaglio molto importante sulla tecnica di costruzione, dicendo che i legni delle navi sono ormai marciti e le corde disciolte, che alla luce delle conoscenze archeologiche possiamo interpretare come navi c.d. cucite di cui parleremo a lungo a proposito della nave di Gela.
La più antica testimonianza archeologica in merito è la barca funeraria di Cheope, risalente al III millennio a.C. che mostra la convivenza delle due tecniche: è priva di chiglia, presenta un’ossatura di rinforzo interna, mentre gli assemblaggi delle tavole sono realizzati sia per mezzo di corde passanti che con il sistema delle linguette.
Del secondo tipo di tecnica per la connessione del fasciame quello c.d. a tenoni e mortase, ce ne parla ancora Omero nell’Odissea descrivendo la zattera che si costruisce Ulisse per lasciare l’isola di Calipso (libro V 228-277); questa sarà la tecnica maggiormente diffusa nel mondo romano.
Non sono ancora state chiarite con certezza le motivazioni che determinavano la scelta di una delle due tecniche di costruzione. Sappiamo infatti che la tecnica a tenoni e mortase era già nota a partire dal XV secolo a.C., grazie al ritrovamento del relitto di Ulu Burun in Turchia. Non conosciamo la nazionalità dell’imbarcazione seppure sicuramente apparteneva alla sfera del Mediterraneo orientale, la stessa tecnica a tenoni e mortase è stata individuata anche nello scafo di un relitto fenicio punico a Mazzarron in Spagna databile al VII secolo. Si sta quindi valutando l’ipotesi che questa caratteristica tecnica fosse tipica dei popoli orientali, mentre l’assemblaggio tramite cuciture abbia le sue origini nel mondo greco, seppure già nel V secolo troviamo la commistione delle due tecniche.
A prescindere dall’assemblaggio, le tecniche per la costruzione dello scafo erano:
- tecnica su fasciame o a guscio (es. Albenga): con questo sistema la forma della carena è determinata dai corsi di fasciame che man mano vengono montati; si comincia con la posa in opera degli elementi portanti principali, chiglia, dritto di prora, ruota di poppa, cui vengono unite le tavole del fasciame tramite linguette (tenoni) di legno immessi entro cavità scavate nello spessore delle tavole (mortase) e fissati da spinotti (caviglie) e spesso rinforzati da chiodi di ferro o rame. La posa in opera dei primi elementi dello scheletro (madieri e ordinate) avviene dopo il collegamento dei primi corsi del fasciame. Questo sistema era già usato per i battelli cuciti di età arcaica e restò in uso per tutta l’antichità.
- tecnica su costole o a scheletro verso la fine dell’antichità e l’inizio dell’alto Medio Evo si assiste all’affermazione di questo sistema che è ancora in uso oggi; consiste nel montare l’ossatura della nave sulla chiglia precedentemente preparata e nel rivestire poi lo scheletro con i corsi di fasciame. Qui è l’ossatura a determinare la forma dell’imbarcazione ed il fasciame ha solo una funzione di rivestimento. Nel corso del tempo, forse per motivi di economia del lavoro, l’evoluzione va verso la soppressione delle linguette (o comunque non sono incavigliate) nel fasciame, con il conseguente indebolimento di quest’ultimo e lo sviluppo dell’ossatura come elemento portante.
Questa schematizzazione non corrisponde sempre alla realtà archeologica, nel senso che attraverso lo studio dei relitti è stato possibile riscontrare talvolta l’uso combinato delle due tecniche (mista).