Dentici & Ricciole a Lavezzi
Inviato: 28 gen 2013, 23:10
Ricciole & Dentici a Lavezzi
La gustosissima coppa di gelato alla frutta era ormai agli sgoccioli quando Sandrino si avvicinò al tavolo dove sedevamo mia moglie ed io.
Lo invitai a sedere e chiamai nuovamente il proprietario del bar, l’amico Andrea, per la nuova ordinazione.
Ne approfittai per aggiungere al gelato alle creme di Sandrino due bicchierini di mirto ghiacciato Zedda Piras per me e la mia consorte.
Domattina, mi disse Sandro, sono libero da impegni e mi farebbe piacere fare una bella trainata insieme a te, potresti approfittare per testare quelle canne 20/30 libbre che mi hai fatto vedere ieri.
Per i mulinelli, aggiunse, preferisco i miei, così se sei d’accordo porta solo le canne, il resto è già a bordo.
Per il giorno successivo avevo già programmato un’uscita con la mia barca alla spiaggia rosa di Budelli, per cui guardai mia moglie con aria interrogativa, una strizzata d’occhio da parte sua e un lieve assenso con la testa mi fecero capire che l’impegno poteva essere rimandato.
Non si era ancora spenta l’ultima stella del cielo, che eravamo già usciti dal porto dirigendoci verso la Mormorata, sapevamo bene che in questo periodo dell’anno, qualche calamaro e qualche sugarello lo avremmo rimediato sicuramente.
Durante il trasferimento preparai le quattro canne così armate: due con gli artificiali da calamari e due con i Sabiki per i sugarelli.
Riempii la vasca del vivo con l’acqua di mare e misi in funzione la pompa di ricircolo, ecco eravamo pronti ed eravamo anche arrivati.
Calammo subito i piccoli gamberoni per calamari, la pescata partì bene perché in men che non si dica quattro bei calamari nuotavano nella vasca.
Proseguimmo e in capo ad un’ora avevamo cinque calamari e quattro sugarelli, senzo porre tempo in mezzo, partimmo per la nostra meta di pesca, la mitica secca di Lavezzi.
Attenzione, non confondiamo questa secca a circa un miglio dall’isola, con la più famosa secca delle cernie, meta di sub provenienti da tutto il mondo, questa secca è segnalata da un fanale notturno che indica il fondale libero per poter proseguire tranquillamente il percorso attraverso le Bocche, verso la Maddalena.
Il fondale roccioso che si solleva di una ventina di metri da un fondo sabbioso, raggiunge la sua vetta a -45, scendendo gradualmente ai - 70 sulla sabbia.
Questa formazione rocciosa è l’habitat ideale per i grossi dentici che qui cacciano, mimetizzati nel fondo, tutto il pesce azzurro pelagico che qui si raduna massicciamente.
Così pure le ricciole che seguendo la mangianza si trovano spesso a gironzolare attorno a questa secca.
Nel viaggio verso la secca iniziai a montare le canne con i mulinelli di Sandro, legai le girelle ed i terminali in fluorocarbon dello 0,60, armate con un amo fisso ed uno scorrevole del numero 5/0.
Preparai i piombi guardiani di 700 grammi con uno spezzone in nylon 0,30 lungo un metro e mezzo e il moschettone per l’aggancio alla girella.
Non appena arrivati, innescai su ogni canna un vivace calamaro, quello più piccolo lo calai sul fondo alla ricerca di qualche dentice, mentre il più grosso lo calai circa a metà acqua in cerca di una ricciola.
Sandro mise in funzione il dispositivo trolling valve che permetteva al suo Shamrock di navigare attorno ad un nodo, permettemdo alle nostre esche di muoversi e nuotare liberamente senza apparire agli occhi dei pesci come esche trainate.
Non eravamo i primi ad essere arrivati, già tre barche, che ben conoscevo, erano già in pesca.
Presi il telefonino e cominciai a chiamare i vari capitani per sapere come stava andando la giornata.
Era già stata catturata una ricciola ed un dentice praio, mentre un’altra barca in pesca stava facendo il drifting ai tonni, per cui ci pregarono di non avvicinarci troppo a loro e soprattutto non interferire con la scia delle loro sarde, naturalmente ci guardammo bene, durante la trainata di incrociarli o disturbarli.
Fummo d’accordo anche di impostare tutta la pesca nella parte orientale della secca che sapevamo un po’ carente di dentici ma abbastanza frequentata dalle ricciole.
La canna di sinistra, quella sul fondo, ebbe un piccolo sussulto che non passò inosservato ai miei occhi, sollevai la canna in attesa di una mangiata più decisa che non arrivò.
Abbassai la canna rialzandola velocemente per far vivacizzare il calamaro ma non successe niente.
Iniziai il recupero per sincerarmi di quanto era successo e per vedere in quali condizioni fosse il calamaro.
Ero intento a quella operazione, quando volsi lo sguardo sull’altra canna, quella dei destra a mezz’acqua.
Era piegata, molto piegata ed il mulinello aveva iniziato a cantare ininterrottamente, con la sua nota alta e stridula, sicuramente una ricciola aveva abboccato e che ricciola.
Sandro aveva seguito tutto ed era già nel pozzetto mi strappò di mano la canna che stavo recuperando e l’attimo dopo, liberato da quella incombenza, avevo già innestato il calcio di quella con il pesce nel bicchiere del pancerino. La prima fuga deve essere contrastata pochissimo, il pesce è in possesso di tutta la sua forza e la sua vitalità, basta un piccolo errore per perdere il contatto, quindi calma, calma, calma. Sandro nel frattempo aveva riposto l’altra canna ed era nuovamente ai comandi.
Iniziò ad accompagnare il mio recupero mettendomi sempre in condizione di combattere il pesce al traverso, leggermente verso poppa, ma, soprattutto, alla distanza giusta per prevenire qualsiasi mossa.
La gustosissima coppa di gelato alla frutta era ormai agli sgoccioli quando Sandrino si avvicinò al tavolo dove sedevamo mia moglie ed io.
Lo invitai a sedere e chiamai nuovamente il proprietario del bar, l’amico Andrea, per la nuova ordinazione.
Ne approfittai per aggiungere al gelato alle creme di Sandrino due bicchierini di mirto ghiacciato Zedda Piras per me e la mia consorte.
Domattina, mi disse Sandro, sono libero da impegni e mi farebbe piacere fare una bella trainata insieme a te, potresti approfittare per testare quelle canne 20/30 libbre che mi hai fatto vedere ieri.
Per i mulinelli, aggiunse, preferisco i miei, così se sei d’accordo porta solo le canne, il resto è già a bordo.
Per il giorno successivo avevo già programmato un’uscita con la mia barca alla spiaggia rosa di Budelli, per cui guardai mia moglie con aria interrogativa, una strizzata d’occhio da parte sua e un lieve assenso con la testa mi fecero capire che l’impegno poteva essere rimandato.
Non si era ancora spenta l’ultima stella del cielo, che eravamo già usciti dal porto dirigendoci verso la Mormorata, sapevamo bene che in questo periodo dell’anno, qualche calamaro e qualche sugarello lo avremmo rimediato sicuramente.
Durante il trasferimento preparai le quattro canne così armate: due con gli artificiali da calamari e due con i Sabiki per i sugarelli.
Riempii la vasca del vivo con l’acqua di mare e misi in funzione la pompa di ricircolo, ecco eravamo pronti ed eravamo anche arrivati.
Calammo subito i piccoli gamberoni per calamari, la pescata partì bene perché in men che non si dica quattro bei calamari nuotavano nella vasca.
Proseguimmo e in capo ad un’ora avevamo cinque calamari e quattro sugarelli, senzo porre tempo in mezzo, partimmo per la nostra meta di pesca, la mitica secca di Lavezzi.
Attenzione, non confondiamo questa secca a circa un miglio dall’isola, con la più famosa secca delle cernie, meta di sub provenienti da tutto il mondo, questa secca è segnalata da un fanale notturno che indica il fondale libero per poter proseguire tranquillamente il percorso attraverso le Bocche, verso la Maddalena.
Il fondale roccioso che si solleva di una ventina di metri da un fondo sabbioso, raggiunge la sua vetta a -45, scendendo gradualmente ai - 70 sulla sabbia.
Questa formazione rocciosa è l’habitat ideale per i grossi dentici che qui cacciano, mimetizzati nel fondo, tutto il pesce azzurro pelagico che qui si raduna massicciamente.
Così pure le ricciole che seguendo la mangianza si trovano spesso a gironzolare attorno a questa secca.
Nel viaggio verso la secca iniziai a montare le canne con i mulinelli di Sandro, legai le girelle ed i terminali in fluorocarbon dello 0,60, armate con un amo fisso ed uno scorrevole del numero 5/0.
Preparai i piombi guardiani di 700 grammi con uno spezzone in nylon 0,30 lungo un metro e mezzo e il moschettone per l’aggancio alla girella.
Non appena arrivati, innescai su ogni canna un vivace calamaro, quello più piccolo lo calai sul fondo alla ricerca di qualche dentice, mentre il più grosso lo calai circa a metà acqua in cerca di una ricciola.
Sandro mise in funzione il dispositivo trolling valve che permetteva al suo Shamrock di navigare attorno ad un nodo, permettemdo alle nostre esche di muoversi e nuotare liberamente senza apparire agli occhi dei pesci come esche trainate.
Non eravamo i primi ad essere arrivati, già tre barche, che ben conoscevo, erano già in pesca.
Presi il telefonino e cominciai a chiamare i vari capitani per sapere come stava andando la giornata.
Era già stata catturata una ricciola ed un dentice praio, mentre un’altra barca in pesca stava facendo il drifting ai tonni, per cui ci pregarono di non avvicinarci troppo a loro e soprattutto non interferire con la scia delle loro sarde, naturalmente ci guardammo bene, durante la trainata di incrociarli o disturbarli.
Fummo d’accordo anche di impostare tutta la pesca nella parte orientale della secca che sapevamo un po’ carente di dentici ma abbastanza frequentata dalle ricciole.
La canna di sinistra, quella sul fondo, ebbe un piccolo sussulto che non passò inosservato ai miei occhi, sollevai la canna in attesa di una mangiata più decisa che non arrivò.
Abbassai la canna rialzandola velocemente per far vivacizzare il calamaro ma non successe niente.
Iniziai il recupero per sincerarmi di quanto era successo e per vedere in quali condizioni fosse il calamaro.
Ero intento a quella operazione, quando volsi lo sguardo sull’altra canna, quella dei destra a mezz’acqua.
Era piegata, molto piegata ed il mulinello aveva iniziato a cantare ininterrottamente, con la sua nota alta e stridula, sicuramente una ricciola aveva abboccato e che ricciola.
Sandro aveva seguito tutto ed era già nel pozzetto mi strappò di mano la canna che stavo recuperando e l’attimo dopo, liberato da quella incombenza, avevo già innestato il calcio di quella con il pesce nel bicchiere del pancerino. La prima fuga deve essere contrastata pochissimo, il pesce è in possesso di tutta la sua forza e la sua vitalità, basta un piccolo errore per perdere il contatto, quindi calma, calma, calma. Sandro nel frattempo aveva riposto l’altra canna ed era nuovamente ai comandi.
Iniziò ad accompagnare il mio recupero mettendomi sempre in condizione di combattere il pesce al traverso, leggermente verso poppa, ma, soprattutto, alla distanza giusta per prevenire qualsiasi mossa.