Il palamito a vela.
Inviato: 15 gen 2013, 21:53
Stavo infilandomi il maglione e il leggero giubbetto impermeabile per ripararmi dall’umidità della notte, quando suonarono i dodici rintocchi di un lontano campanile.
Un giorno era finito ed un altro era appena nato.
Avevo appena terminato di filare a mare il mio palamito a vela.
Quell’estate era stata veramente calda, anche per uno come me che il caldo lo sente poco, quel mese di agosto non invitava certamente a starsene in casa, anche la leggera brezza serale portava poco refrigerio e solo all’alba, con il fresco del mattino riuscivamo a riposare e spesso a prendere sonno.
Mi sedetti sulla sedia pieghevole e i miei piccoli amici ed allievi si sistemarono anch’essi a sedere su alcuni teli che avevano portato da casa.
La piccola vela del palamito era ancora visibile in lontananza, grazie ad un potente faro che si trovava alla sommità di un palone e che era rivolto verso il mare per illuminare la zona dove erano ormeggiati alcuni gommoni.
Parliamo un po’ di questo attrezzo, non molto sportivo, però molto divertente, l’ideale per trascorrere qualche ora in serenità sulla silenziosa e deserta spiaggia notturna di Rena Bianca, appena fuori del porto di S. Teresa di Gallura.
La barchetta è l’elemento principale di tutto il sistema, l’appellativo barchetta è abbastanza improprio in quanto si tratta di tre assicelle in legno inchiodate tra loro a creare un triangolo isoscele con due lati lunghi 60/65 cm e l’altra formante la base (poppa) di circa 50 cm.
Sotto i tre vertici, per farla ben galleggiare, avevo legato tre contenitori di plastica con il tappo, che avevano contenuto mezzo chilo di olio per la miscela dei fuoribordo.
Un’altra assicella attraversava la barca, circa a metà, e faceva da supporto all’albero maestro sul quale era poi fissata la vela.
La vela non era altro che una pezza ricavata da un vecchio lenzuolo di cm. 40 x 30, cucita in cima ed in fondo a formare due asole dentro le quali erano infilati dei tondini in legno da 8 mm. Di diametro, che facevano restare la vela sempre aperta.
Dei sottili cordoncini fissati tra questi tondini e lo “scafo” la facevano rimanere fissa e perpendicolare all’asse prua-poppa della barca.
Nell’assicella a poppa era avvitato un occhiolo di ottone, esattamente al centro, sul quale veniva poi agganciato il sistema pescante.
L’altro particolare importante è un rullo scanalato che io avevo ricavato da un vecchio contenitore per la saldatura a filo, e che avevo adattato facilmente sul lato di un regolo di legno di cm. 4 x 4 appuntito alla base per essere infisso sulla sabbia, una manovella laterale al rullo completava l’attrezzo: un argano manuale.
La lenza è formata da un nylon dello 0,80 lungo circa 270 metri così composto: un moschettone al termine per agganciarlo all’occhiolo di poppa, poi 30 metri di lenza libera, dopo i trenta metri una girella a tre vie da annodare da una capo all’altro della lenza madre, poi 6 metri e nuova girella, sei metri ancora e nuova girella e così via per 30 volte, dopo la trentesima girella 50 metri di lenza libera.
Una volta terminato, il finale va avvolto sul rullo.
I braccioli andranno realizzati con nylon dello 0,30 di lunghezza da 1,50 fino a 3 metri, recanti da un lato un moschettone da agganciare alla girella tripla e dall’altro un amo di acciaio inox del numero 6 a gambo lungo.
Questi braccioli andranno avvolti attorno a tappi in sughero, un po’ più grossi di quelli che vengono utilizzati per le bordolesi, e, che una volta servivano a turare i fiaschi.
Longitudinalmente i tappi andranno incisi fino a metà del diametro, per essere infilati nel nylon del trave e servire da galleggianti che permetteranno a tutto il complesso pescante di restare a galla.
Il luogo ideale per praticare questa rilassante tecnica è una spiaggia sabbiosa coronata da scogliere, e scogli al largo, il vento deve assolutamente essere di terra e spirare verso il mare.
Si pianta il paletto con il rullo sulla spiaggia a pochi metri dal bagnasciuga, si prende il nylon con il moschettone e lo si aggancia sulla poppa della barchetta.
Si pone la barchetta in mare entrando qualche metro in acqua, il vento provvederà a portarla verso il largo, si fa scorrere la lenza fino alla prima girella a tre vie, si aggancia il bracciolo col moschettone, si innesca l’amo e si mette il turacciolo, tramite l’incisione, a cavallo del filo della trave, si fa scorrere fino alla girella successiva e così via fino alla fine dei braccioli.
Si danno gli ultimi cinquanta metri, ci si siede e si aspetta.
Per le esche personalmente preferisco i cannolicchi alternati a strisce di calamaro battuto e a vermi di mare.
Per la lunghezza dei braccioli li metto in acqua con misure alternate.
Le prede più comuni sono le occhiate, i sugarelli, i saraghi, qualche spigola e mormora e le orate.
I giovani amici che mi avevano circondato, intanto, cominciavano a farmi domande su quanto avremmo lasciato il palamito in pesca, quale fosse stato il pesce più grosso che avevo preso con quell’attrezzo, quanti pesci pensavo rimanessero allamati, cosa avremmo fatto dei pesci che catturavamo, insomma tutte quelle curiosità, che, beati loro, fanno parte di coloro che si avvicinano per la prima volta alla pesca, ma che già dentro di loro, il tarlo della passione ha iniziato a scavare nella loro mente.
Dopo averli accontentati chiesi:- vorreste sentire come si dibattono i pesci quando sono allamati?
-si Bruno dai, come facciamo?
-prendete in mano il filo che esce dal rullo e recuperatene una bracciata, se c’è qualche pesce attaccato lo sentirete sicuramente.
Dagli urletti di sorpresa e felicità, capii che i primi clienti erano arrivati.
Continua
Un giorno era finito ed un altro era appena nato.
Avevo appena terminato di filare a mare il mio palamito a vela.
Quell’estate era stata veramente calda, anche per uno come me che il caldo lo sente poco, quel mese di agosto non invitava certamente a starsene in casa, anche la leggera brezza serale portava poco refrigerio e solo all’alba, con il fresco del mattino riuscivamo a riposare e spesso a prendere sonno.
Mi sedetti sulla sedia pieghevole e i miei piccoli amici ed allievi si sistemarono anch’essi a sedere su alcuni teli che avevano portato da casa.
La piccola vela del palamito era ancora visibile in lontananza, grazie ad un potente faro che si trovava alla sommità di un palone e che era rivolto verso il mare per illuminare la zona dove erano ormeggiati alcuni gommoni.
Parliamo un po’ di questo attrezzo, non molto sportivo, però molto divertente, l’ideale per trascorrere qualche ora in serenità sulla silenziosa e deserta spiaggia notturna di Rena Bianca, appena fuori del porto di S. Teresa di Gallura.
La barchetta è l’elemento principale di tutto il sistema, l’appellativo barchetta è abbastanza improprio in quanto si tratta di tre assicelle in legno inchiodate tra loro a creare un triangolo isoscele con due lati lunghi 60/65 cm e l’altra formante la base (poppa) di circa 50 cm.
Sotto i tre vertici, per farla ben galleggiare, avevo legato tre contenitori di plastica con il tappo, che avevano contenuto mezzo chilo di olio per la miscela dei fuoribordo.
Un’altra assicella attraversava la barca, circa a metà, e faceva da supporto all’albero maestro sul quale era poi fissata la vela.
La vela non era altro che una pezza ricavata da un vecchio lenzuolo di cm. 40 x 30, cucita in cima ed in fondo a formare due asole dentro le quali erano infilati dei tondini in legno da 8 mm. Di diametro, che facevano restare la vela sempre aperta.
Dei sottili cordoncini fissati tra questi tondini e lo “scafo” la facevano rimanere fissa e perpendicolare all’asse prua-poppa della barca.
Nell’assicella a poppa era avvitato un occhiolo di ottone, esattamente al centro, sul quale veniva poi agganciato il sistema pescante.
L’altro particolare importante è un rullo scanalato che io avevo ricavato da un vecchio contenitore per la saldatura a filo, e che avevo adattato facilmente sul lato di un regolo di legno di cm. 4 x 4 appuntito alla base per essere infisso sulla sabbia, una manovella laterale al rullo completava l’attrezzo: un argano manuale.
La lenza è formata da un nylon dello 0,80 lungo circa 270 metri così composto: un moschettone al termine per agganciarlo all’occhiolo di poppa, poi 30 metri di lenza libera, dopo i trenta metri una girella a tre vie da annodare da una capo all’altro della lenza madre, poi 6 metri e nuova girella, sei metri ancora e nuova girella e così via per 30 volte, dopo la trentesima girella 50 metri di lenza libera.
Una volta terminato, il finale va avvolto sul rullo.
I braccioli andranno realizzati con nylon dello 0,30 di lunghezza da 1,50 fino a 3 metri, recanti da un lato un moschettone da agganciare alla girella tripla e dall’altro un amo di acciaio inox del numero 6 a gambo lungo.
Questi braccioli andranno avvolti attorno a tappi in sughero, un po’ più grossi di quelli che vengono utilizzati per le bordolesi, e, che una volta servivano a turare i fiaschi.
Longitudinalmente i tappi andranno incisi fino a metà del diametro, per essere infilati nel nylon del trave e servire da galleggianti che permetteranno a tutto il complesso pescante di restare a galla.
Il luogo ideale per praticare questa rilassante tecnica è una spiaggia sabbiosa coronata da scogliere, e scogli al largo, il vento deve assolutamente essere di terra e spirare verso il mare.
Si pianta il paletto con il rullo sulla spiaggia a pochi metri dal bagnasciuga, si prende il nylon con il moschettone e lo si aggancia sulla poppa della barchetta.
Si pone la barchetta in mare entrando qualche metro in acqua, il vento provvederà a portarla verso il largo, si fa scorrere la lenza fino alla prima girella a tre vie, si aggancia il bracciolo col moschettone, si innesca l’amo e si mette il turacciolo, tramite l’incisione, a cavallo del filo della trave, si fa scorrere fino alla girella successiva e così via fino alla fine dei braccioli.
Si danno gli ultimi cinquanta metri, ci si siede e si aspetta.
Per le esche personalmente preferisco i cannolicchi alternati a strisce di calamaro battuto e a vermi di mare.
Per la lunghezza dei braccioli li metto in acqua con misure alternate.
Le prede più comuni sono le occhiate, i sugarelli, i saraghi, qualche spigola e mormora e le orate.
I giovani amici che mi avevano circondato, intanto, cominciavano a farmi domande su quanto avremmo lasciato il palamito in pesca, quale fosse stato il pesce più grosso che avevo preso con quell’attrezzo, quanti pesci pensavo rimanessero allamati, cosa avremmo fatto dei pesci che catturavamo, insomma tutte quelle curiosità, che, beati loro, fanno parte di coloro che si avvicinano per la prima volta alla pesca, ma che già dentro di loro, il tarlo della passione ha iniziato a scavare nella loro mente.
Dopo averli accontentati chiesi:- vorreste sentire come si dibattono i pesci quando sono allamati?
-si Bruno dai, come facciamo?
-prendete in mano il filo che esce dal rullo e recuperatene una bracciata, se c’è qualche pesce attaccato lo sentirete sicuramente.
Dagli urletti di sorpresa e felicità, capii che i primi clienti erano arrivati.
Continua